E’ Adrian Paci ad aprire la fitta settimana dell’art week di Milano. Adrian Paci presenta la mostra The Guardians a cura di Gabi Scardi nei chiostri di Sant’Eustorgio, la prima esposizione di una serie che questo complesso ha deciso di dedicare all’arte contemporanea all’interno dei suoi spazi .
L’arte di Adrian Paci è un rimando attraverso la contemporaneità all’arte passata, nasce quindi spontaneo il dialogo con la location scelta, dove le opere si arricchiscono ulteriormente di significati e di rimandi; qui ci vengono presentati i vari percorsi creativi dell’artista e gli svariati mezzi con cui egli si esprime. Incontriamo così opere legate al mezzo fotografico e video come il dittico The Line: una fila di persone in un limbo, in attesa di un aereo inesistente, intorno a loro il nulla; in questo non luogo emergono le tematiche chiave della poetica di Paci; il fenomeno della migrazione, che blocca senza speranza, l’attesa di qualcosa, l’incertezza, la precarietà, la paura che pervade molte persone e le spinge a compiere viaggi della speranza verso terre ignote, sconosciute o inospitali. La poetica dell’artista si sviluppa in questa necessità di raccontare il presente, trasformandolo in arte attingendo da una profonda cultura, esaltando l’importanza dei gesti e dei rituali più semplici; così osserviamo in The Encounter, in cui un uomo sul sagrato di una chiesa antica strige la mano, valorizzando l’autenticità dei rituali come l’incontro, la ripetizione, la tradizione, significati che superano barriere, confini e raggiungo solo l’essenza pura della vita. Nel video My song in your Kitchen l’artista riesce a dare a un luogo impersonale e di transizione, come il centro di accoglienza di Milano, dove è stato girato, inquadrando lunghi corridoi spaesanti, carichi di dolore e nostalgie, un sentimento di aspettativa e di rinascita, pervadendo con un significato sociale la descrizione di gesti giornalieri, modesti, come il cibo e il canto mettendoli in evidenza tramite questa concezione di quotidianità, da cui emerge la necessità di sentire la provenienza delle proprie origini, che riportano al ricordo e al senso di convivialità.
Il peso dell’esistenza del viaggio, della stratificazione della memoria è rappresentato da Home to go una scultura a grandezza naturale in polvere di marmo e resina in cui l’artista si ritrae nelle sembianze del viandante che trasporta le sue radici, la sua memoria, essenza irrinunciabile, talvolta soffocante e talvolta salvifica, un richiamo di iconografie classiche e religiose, metafore del peso delle origini e di un’identità.
Nel suo essere totalmente poliedrico Adrian Paci realizza Brothers un mosaico, che coglie l’interazione fugace tra due fratelli, la descrizione di un momento della vita comune in Albania; l’opera è realizzata partendo dal frammento di un film d’archivio della collezione dell’artista. Monumentalità, fissità, poetica, eterno file rouge tra l’arte antica e quella contemporanea di Adrian Paci.
La cappella Portinai accoglie Klodi: l’eterno fuggire, video-ritratto di un uomo che vaga per l’intero continente, un Odisseo contemporaneo, sradicato dalla sua terra, che narra ogni sorta di vicenda al limite del reale, una vita di cui ignoriamo la conclusione.
Il Cimitero Paleocristiano accoglie Malgrado Tutto e The Guardians, due opere in cui Paci si relaziona con il dramma della durissima dittatura albanese di Enver Hoxha , la prima rappresenta una serie di fotografie realizzate in un antico monastero francescano della sua città natale Scutari. Questo luogo veniva utilizzato come prigione, luogo di tortura e interrogatorio. Si osservano tutt’oggi sulle pareti i segni degli uomini allora imprigionati, la loro necessità di esprimere attraverso una parola, la loro esistenza, resistenza, sofferenza, la lotta per la sopravvivenza. Esplicito qui il binomio libertà e oppressione, vita e morte. Queste ultime vengono riprese nel video The Guardians, che racconta di un cimitero cattolico dismesso. Il silenzio del cimitero con cui inizia il video, ci introduce nella realtà della dittatura, dall’imperiosità delle tombe e del silenzio, per poi passare alla vitalità e alla confusione dei bambini, che lo popolano per tenerlo ordinato, segno qui di una grande poesia nella contraddittorietà della rinascita e la capacità dell’artista che sottolinea il rapporto complesso della nostra società con la morte.
Il culmine della mostra avviene negli spazi del Museo Diocesiano “Carlo Maria Martini” con il video Rasha, una donna palestinese, giunta recentemente in Italia e che Adrian Paci ha incontrato grazie ai corridoi umanitari. Le immagini che osserviamo sono le immagini dei suoi silenzi mentre attende che le sue parole vengano tradotte. Rasha racconta il suo dolore attraverso una serie di sguardi, i traumi vissuti sono divenuti tutt’uno con lei, parte integrante del suo essere. Espressioni lancinanti, lacrime che cadono dopo le parole, tracce rimaste in lei, che nulla riuscirà a far riemergere. Rasha è un’opera sulla complessità della vita ma anche di come il racconto è dentro di noi, parte integrante del nostra persona.
Artista eclettico, fortemente legato alle cultura e all’arte passata, con questa mostra, che descrive parte della sua produzione Adrian Paci traduce in arte l’attualità, la società e i cambiamenti che stanno avvenendo nel nostro mondo, la sua arte è uno stimolo al confronto, alla capacità di mettersi in discussione e relazionarsi, al divenire tutti migranti cercando nuovi orizzonti, nuovi modi di vivere.
Leda Lunghi
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