Ricerche profonde che partono da contenuti intimi e poetici e che contemporaneamente si sviluppano su tematiche legate alla società, Andrea Grotto sviluppa in Casabase – mostra appena conclusasi negli spazi di Nashira Gallery – la sua esperienza e il suo vissuto, con un personale e articolato codice, il concetto di abitare e di dimora.
Tra l’armonia silenziosa di pareti invisibili, rimandi al passato, che ritornano nel presente, l’artista ci fa entrare silenziosamente nel suo mondo interiore aprendo un tema, non solo estremamente attuale, quale i rapporti nella società e il modo di viverli nell’abitare, ma affrontandolo con uno sguardo artistico e una sensibilità capace di porci tra le mani le coordinate, ovvero gli oggetti esposti, per interrogarci su questo argomento.
Abitare è familiarità, è intreccio sfumato di ricordi che ritornano attraverso echi, parole che danzano di ritorno da un tempo remoto, dettagli, che ci permettono di orientarci in un mondo che sta lentamente perdendo l’idea di connessioni umane e reali. E’ con opere come “Frammenti di parole sospese” realizzata in terra e grès, cocci su cui vengono riprodotte texture dei centrotavola pazientemente cuciti all’uncinetto dalla nonna dell’artista, è qui che ritroviamo l’intimità della famiglia riunita a tavola, rimandi a tracce di discorsi, piccole orme, che rimangono impresse in noi. Parole anche se frammentate, che ci accompagnano dai tempi dei nostri nonni ad oggi, stralci di dialoghi iniziati sempre intorno a un tavolo.
“Casabase”, è anche il dipinto che ci appare all’inizio della mostra, la prima delle molte tappe che Grotto ci fa percorrere, non per niente, è un termine desunto dal baseball, per indicare la piastrella a cui si ritorna dopo un giro di campo, passando per le basi intermedie. E’ da qui che, quasi chiedendo il permesso, ci addentriamo tra un focolare, un tappeto, un maglione, opere rappresentanti oggetti, legate una all’altra da una sinergia, un’affinità un valore recondito che le contraddistingue e le collega attraverso piccole particolarità. Qui nasce e si scopre il tema del vivere lo spazio, il legame, voluto o meno tra gli oggetti, in un ambiente a noi noto e caro, da noi attraversato, in cui non possiamo far a meno di lasciare traccia, un’alchimia creata dal nostro essere, archetipo della nostra stessa esistenza.
Questo è quello che cogliamo in questa mostra, tra opere realizzate con colori a olio su cartongesso preparato, tecnica che valorizza fortemente l’aspetto materico, esaltando talvolta proprio la tridimensionalità dei lavori.
Essi rivelano in molteplici aspetti la particolare poetica dell’artista, ovvero l’ampliarsi dal privato al sociale, il quale anche attraverso titoli come – A colori come in sogno, Febbraio ’89, Cannareggio e altri già citati- ci spiega l’importanza e la sacralità della parola, nobilitandola, in una società in cui questa si sta lentamente sgretolando.
Grotto sottolinea con i sui diversi codici artistici come, come smarrendo l’idea e l’identità della parola, inizino lentamente a disorientarsi l’essenza della persona e della collettività, per queste ragioni curare il linguaggio è curare il pensiero e, la raffinatezza con cui lo racconta, è proprio sinonimo di amorevole attenzione.
Leda Lunghi
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