L’accuratezza e il particolare sono i protagonisti di Davanti la personale di Marta Sforni presente alla Galleria Riccardo Crespi. Sforni espone una pittura profondamente poetica e ricercata rappresentata su molteplici strati, con una malinconica focalizzazione sull’eleganza dell’ornamento, presentato come specchio, quale portatore del binomio storia e tempo.
L’arte riflessa dentro a degli specchi, quelli che l’artista dipinge, nei cui rimandi si percepisce la profondità, l’infinito, la memoria e l’essenza di una città sfumata che ne è l’emblema: Venezia.
L’infrangersi di un ricordo, lo smarrimento del tempo che insieme precipitano nell’oblio di una pittura a strati, quella pittura raffinata, non solo concentrata sul particolare e sull’ornamentale, ma che è addirittura in grado di valicarlo, conducendo la mente del fruitore ad andare oltre, trascinando la memoria tra il materico e l’infinito, afferrando incertezze e ombre, che vacillano come l’acqua di Venezia, come il colore verde di alcune opere, come il nostro essere e il nostro inconscio quando si riflette in esse.
La pittura di Marta Sforni può ricondurci all’eternità dell’arte, i suoi eleganti decori fanno riecheggiare nella nostra mente immagini dell’arte bizantina, che così spesso incontriamo nella città dei Dogi, sono allusioni a tempi di ricordo sfioriti . Un lavoro poetico e accurato, una realtà estetica e profonda tra effimero e greve, tra certezza e incertezza, una intensa visione di eternità che riconduce all’inconsapevolezza umana.
Questa mostra è la ricerca delle peculiarità nel quadro, un segno può condurre la nostra mente in mondi lontani, oppure creare una dislocazione temporale che esso immagazzina. L’artista delinea la preziosità dell’essere e della memoria, perché è lì in quella plurima entità di strati colorati, nati dall’essenza e dal tempo indefinibile della cultura classica percepibile in questa pittura ad olio, greve per la sua essenza materica e la sua raffinatezza, è qui che in questa creazione di spazi che gli sguardi oltrepassano gli abissi, che perdiamo la nostra entità, cercando il ricordo nella fragile decadenza, là dove le forme si dissolvono nel mistero di uno sguardo nell’autenticità dell’arte.
Scriveva Iosif Brodskji ” In questa città l’occhio acquista un’autonomia che ha l’essenza di una lacrima ” ed è la ragione di quella lacrima che ci fa soffermare alla ricerca di un poetico ricordo celato in questi quadri, forse per questo divenuti specchi. Colori, espressioni, rimandi a significati legati ai nostri labirintici spazi mentali. Verdi, rossi, neri, opere con la capacità di inghiottirci, di rapire qualcosa e ridonarci altro. Una voluta, un ricciolo, delicati e frammentati sipari, immagini che appaiono incomplete; sono opere aperte quelle di quest’artista che riesce ad aprire all’immaginazione altrui con il concetto di ornamentale e di monocromo, unendoli, assoggettandoli in una creazione poetica basata sul binomio finito e indefinito, presenza e assenza, rivelatrice di tempi passati, presenti e futuri, in spazi indefiniti che si svelano dinanzi ai nostri occhi, i quali si ritrovano a danzare sulle tele come due ballerini su un palcoscenico cercando l’armonia del proprio essere in un particolare, per immetterci il dubbio dell’essenza e del tempo. Sforni riesce in questa perfetta narrazione grazie alla creazione della profondità, racconta l’infinito laggiù fin dove la memoria può arrivare, la storia raccontare, l’occhio guardare, qui in questo eterno divenire.
Leda Lunghi
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