Barbara De Ponti ci racconta Forma Mentis, il progetto espositivo presente in Viasaterna che sotto il tema del tempo, della forma ed inevitabilmente della lentezza coinvolgono lei e Jens Risch. L’artista approfondisce le tematiche che ruotano attorno al suo ultimo progetto Clay Time Code, presentato per la prima volta a Milano, qui la pratica artistica interagisce con la lettura e i saperi degli archivi geologici; Barbara De Ponti rilegge il tempo trasformandolo in opera d’arte attraverso studi di geologia e micropaleontologia, rappresentando in otto imponenti sculture quegli elementi microscopici e impercettibili che Leonardo definì argille azzurre. Ci addentriamo con questa intervista nell’intreccio poetico, temporale, artistico e scientifico dell’artista.
I trait d’union di Forma Mentis sono i concetti di tempo e di forma vorresti descrivere in che modo queste idee interagiscono e legano il tuo lavoro con quello di Jens Risch?
Per la serie di lavori esposti a Viasaterna sento il dialogo tra Jens e me passare attraverso il processo che modella la materia scelta. Il risultato per entrambi è una forma inevitabile, che condensa in sé il concetto del lavoro, arricchendosi anche grazie a una pratica lenta e inclusiva.
Con questa mostra presenti per la prima volta a Milano il tuo ultimo progetto Clay Time Code nato nel 2016 ed esposto presso il Mic, il Museo Carlo Zauli e il Museo di Scienze Naturali di Faenza. Con questo lavoro affronti la manipolazione delle terre argillose, indagando la conformazione e la stratificazione delle argille azzurre, rilevando poi questi concetti attraverso i processi della ceramica. Vuoi spiegarmi e ampliare la base e la poetica del tuo lavoro?
Clay Time Code è il primo progetto che vede un mio interesse per l’utilizzo di terre argillose e per i processi di realizzazione della ceramica, ma è inserito in un percorso che mi vede indagare da anni le relazioni che esistono tra pratica artistica e saperi geografici, utilizzando per la realizzazione delle opere fondi archivistici e ampi studi di carattere storico e scientifico. La materia che ho utilizzato è specifica dell’area faentina imolese; la storia della sua industria ceramica è in relazione con la conformazione e la stratificazione del proprio suolo. E’ caratterizzato da alcune tipologie di sedimenti che testimoniano il mare plio-pleistocenico che ricopriva il territorio il cui fondale profondo, dopo evoluzioni geologiche, sarà osservato e nominato da Leonardo da Vinci nei primi anni del Cinquecento col termine usato ancora oggi Argille Azzurre. Quindi attraverso queste terre si ricostruisce storia e cultura del luogo.
Vuoi raccontarmi com’è avvenuto il passaggio dalla ricerca nella cava fino all’atto della scultura?
Clay Time Code nasce riflettendo sui saperi dell’archivio geologico. Ho studiato lungamente come in questi archivi si usino icone di alcuni fossili per correlarle alla datazione assoluta del tempo cronologico nell’ambiente dove tale fossile ha vissuto ed è rimasto conservato. Grazie alla collaborazione con il paleontologo romano Luca Santucci è stato possibile scegliere i giusti nannofossili marker delle Argille Azzurre. Sono stati selezionati un foraminifero monocellulare (la Globorotalia Puncticulata di circa 4 milioni e 500 mila anni) e un’alga planctonica (la Gephyrocapsa Oceanica di 1 milione e 500 mila anni) oggi estinti. Attraverso le immagini de nannofossili scattate al microscopio a scansione (necessarie per le loro dimensioni di soli alcuni micron) sono stata in grado di riprodurre tridimensionalmente gli organismi che determinano l’inizio e la fine del periodo geologico in cui si sono sedimentate le argille, e di farlo usando le argille stesse che li contengono. Sculture di oltre un metro sono così divenute dei grandi simulacri degli organismi microscopici usati come strumento di datazione del tempo.
Com’è nata quest’indagine artistica? Racconti con i tuoi lavori il tempo con la sua fragilità sia materica che culturale, esplicitando il legame con la geologia e di conseguenza introducendo il fruitore ad osservare la storia in un modo nuovo, con una prospettiva diversa, vorresti ampliare quest’intuizione?
Mi ha interessato il contributo che la geologia, lo studio moderno sistematico delle scienze della terra, ha dato all’umana comprensione: allargare la scala temporale di riferimento, scientificamente non più legata al rapporto con il tempo della vita umana, come ci fa comprendere ad esempio i circa quattromila cinquecento milioni di anni con cui si stima l’età della Terra. Il tempo geologico può essere considerato un tempo lunghissimo che la cultura classica identifica con Kronos, il mitologico titano figlio dell’unione tra Gea, la Terra, e Urano, il firmamento fecondo. In questo progetto il contenuto è ottenuto in parte dalle motivazioni con cui è nato il lavoro e in parte da noi che guardiamo il lavoro; nasce per stimolare una riflessione su quello che da una parte possiamo dire noi sul tempo e dall’altra su quanto alcuni piccolissimi organismi ormai estinti possono dire su di noi.
Hai sviluppato l’idea del tempo anche attraverso dei disegni, vuoi descriverli?
I disegni a grafite interpretano con forme semplici modelli complessi come i principi e le leggi fisiche che governano l’universo. Ancora una volta si parla di dimensioni di tempo molto diverse da quelle dell’esperienza umana. E’ sempre la mente umana a porsi dei quesiti che riguardano anche il “fuori da sé” ma il suggerimento che vorrei trasmettere attraverso questo lavoro, è di limitare l’antropocentrismo assoluto e far sì che non rimanga l’unico punto di vista da cui guardare il mondo e le cose.
Leda Lunghi
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