Gaetano Centrone, curatore e organizzatore del Premio Onufri, mostra internazionale che si terrà alla Galleria Nazionale d’arte di Tirana il 27 dicembre, ci racconta la sua esperienza in questo ruolo. Descrivendo il rapporto con i dieci artisti provenienti da sei paesi diversi, con l’Albania e la sensibilità che ha cercato di suscitare con il titolo Au Fil du Temps -memoria collettiva e memorie personali.

Au fil du temps, poni l’accento sul concetto di tempo, e particolarmente di memoria, cosa chiedi agli artisti?

Chiedo di essere se stessi. Chiedo di affrontare, al meglio, una tematica che loro hanno già trattato nei lavoro lavori o, in alcuni casi, informa tutta la loro ricerca. Chiedo loro di entusiasmarsi, come me. Ma in fondo non c’è nemmeno bisogno di chiederlo, sono veramente tutti carichi e concentrati, per partecipare a una manifestazione che fa parte del circuito internazionale e che quest’anno gode di una rinnovata linfa vitale. La qualità del lavoro è la ovvia condizione minima richiesta in fase di selezione, ma è stata altrettanto importante la loro completa adesione al mio progetto e all’idea concettuale della mostra.

Sono dieci gli artisti partecipanti al Premio Onufri, provenienti da sei paesi diversi, che cosa li accomuna?

Sono tutti artisti molto diversi tra loro, non sono espressione di tendenze né hanno percorsi comuni. Anzi, ho cercato di essere molto ampio in quanto a proposte, e provare a dare allo sguardo e alle intelligenze dei fruitori una vasta gamma di risposte agli stessi quesiti. Si parla spesso di memoria, è presente nei lavori di molti artisti, ma quello che mi interessa affrontare è anche il rapporto tra la memoria della storia, degli accadimenti che segnano le comunità che chiamiamo nazioni e i singoli individui, quelle che sono le madeleine proustiane che ci spalancano ricordi e percezioni. Tutte queste riflessioni si possono figurare in molti modi differenti: trascinando la Storia nelle opere o, in altra dimensione, esprimendosi attraverso la memoria della pittura. La pittura che riflette la memoria delle nostre giornate minime, con la materia che diviene il centro del discorso.

In comune i dieci hanno solo l’anagrafe: avendo scelto un taglio generazionale, sono nati tra gli anni ’70 e ’80.

Hai specificato che non vuole essere una mostra politica, mettendo a fuoco la suddivisione tra l’elemento culturale e quello socio-politico. Vuoi spiegare cosa intendi?

Al giorno d’oggi nessuno ha più la pretesa di fare la rivoluzione attraverso le arti o la letteratura. E comunque a seconda del Paese in cui ti trovi cambia la prospettiva: quelle che sono state utopie che hanno alimentato i sogni di generazioni rappresentavano negli stessi decenni incubi concreti per altri popoli. E poi oggi l’unica rivoluzione possibile sarebbe da fare contro il consumismo e il conformismo. Le ideologie hanno la stessa funzione delle noccioline salate in un deserto. Tutti quanti, a livello planetario, sono ammaliati dal capitale e dagli orrori tecnoconsumisti. Mi annichilisce il vuoto che si nasconde dietro la superficie scintillante dell’hi-tech. E allora proviamo a raccontarli questi scenari, a interpretare come vanno le cose del mondo. L’arte, con la sua verità intuitiva e senza alcuna pretesa scientifica, a mio avviso rimane sempre il metodo più affascinante.

Adi Haxhiaj

Come sarà suddiviso l’allestimento?

Sarà suddiviso come i canti di un poema. Si alternano le stanze, che sono le strofe, e dalla compresenza di elementi dissonanti in superficie si ha la polifonia di un componimento finito.

Qual è il tuo rapporto con l’Albania, con la sua storia, i suoi artisti, quanto ha influito sulla tua formazione di curatore?

L’Albania è un Paese fantastico, vivo, vibrante. Un Paese giovane, a differenza del nostro. Un Paese che deve recuperare un gap storico e che dunque corre, ha voglia di costruire, ha una visione. Ha un artista come primo ministro, e questo è già un qualcosa di fantastico, impensabile dalle nostre parti. Noi siamo passati dai dinosauri a un finto giovanilismo che non mi pare stia producendo molto. Loro sono giovani per davvero e lo ostentano a ragione. Mettono al mondo figli con orgoglio e convinzione, mentre noi lo facciamo nel terrore più assoluto. Sono un Paese pieno di artisti, che hanno grande coscienza delle esperienze internazionali e spesso sono protagonisti di primo piano. Alcuni vivono all’estero, mentre molti sono rientrati o sono rimasti da sempre in Albania, scegliendo di formarsi lì e di contribuire al dibattito culturale. Tirana è una città giovane e, non senza problemi, traduce questa fame di arte con manifestazioni molto interessanti. La Galleria Nazionale, in cui si svolge il Premio Onufri, è lo spazio istituzionale più importante dedicato all’arte, e con il direttore Artan Shabani sta vivendo una primavera indimenticabile.

Sono interessato tanto all’arte albanese che imperava sotto il regime, improntata al realismo socialista, quanto agli artisti più attuali. Sicuramente vi farò ritorno, perché il dialogo è ormai avviato.

Leda Lunghi

PERINO & VELE boom