Seguire Luca Vitone in Io, Luca Vitone, un antologica curata da Luca Lo Pinto e Diego Sileo, in collaborazione con i Chiostri di Sant’Eustorgio e con il Museo del Novecento, significa spostarsi con lui sulla carta geografica del nostro secolo, dove l’artista con le proprie opere ci rende partecipi della sua concezione pubblica dell’arte ma sempre con un rimando al personale, parlandoci dell’intreccio tra politica ed etica. Vitone con la sua poetica ci apre a una visione eclettica del mondo, analizzando il nostro secolo attraverso l’archeologia della conoscenza di diversi linguaggi, identità ed etnie. L’artista delinea la sua visione della società attraverso varie stratificazioni e letture storiche, proponendoci mappature di realtà ed idee legate ad avvenimenti incisivi che hanno contrassegnato la nostra epoca e i luoghi in cui viviamo. Le sue opere ci conducono in un viaggio nella memoria, nella politica e nella sociologia, attraversando realtà offuscate e dimenticate, è un lento e gravoso flusso di tempo che scorre e non passa ed è qui che talvolta il viaggio si ferma, perché il tempo è attivo, così come la memoria, essi non sono mai statici, ma testimoni di una ciclicità. L’artista ci racconta quei momenti dove il tempo si è fermato e la memoria ha dimenticato, dove il passato non collima con il presente, o il presente non diverrà futuro. Vitone narra un itinerario politico e sociologico in cui il rimando personale e biografico dell’artista è vivido e presente, l’artista si pone come tramite nel narrare i contesti della storia, lo fa partendo dall’opera Souvenir d’Italie, una targa commemorativa in marmo con il simbolo della loggia P2, un momento a lungo oscurato e vergognoso della storia nazionale del nostro paese, di fronte una lunga lista di nomi (959) scorre davanti a nostri occhi su lunghe liste su carta quale simbolo etereo della precarietà della coscienza storica. Vitone sembra condurci a riflettere su quell’oscurità di un’Italia priva di sentimenti etici, di lealtà, di spirito civico, una collettività esule da una mancanza di appartenenza alla res pubblica. Attraverso queste due opere Vitone analizza come la P2 sia una conseguenza di tutti questi fattori. La provvisorietà dettata della lista dei nomi dei cospiratori, molti dei quali tutt’ora presenti nel panorama politico, sono la consapevolezza di un paese in cui persiste la mancanza d’identità nazionale.

 

Ultimo Viaggio è un opera che riporta a un percorso collettivo e personale, dove il rimando al privato dell’artista è persistente nella memoria e con un intenso acume intellettuale. Vitone descrive con i suoi occhi di ragazzino la fine di un’era, di un’ epoca, il ribaltamento storico geografico di una parte di mondo. L’artista riesce a riproporre con una nostalgica personalità, un viaggio intimo, facendosi interprete attraverso una lettura personale legata al cambiamento di una società quella del ’78, che porterà il sopraggiungere dell’era che viviamo.

L’opera ci appare inizialmente come un racconto: un ragazzino, che con la famiglia parte da Genova per raggiungere il Golfo Persico, attraversando il deserto dell’Iran. Questo è un lavoro che racchiude la dolcezza di un segno lasciato nel tempo, la reminiscenza di un’avventura importante della prima adolescenza, con un intreccio fondamentale della condizione storica, due momenti irripetibili e contingenti nella vita dell’artista. Vitone narra attraverso l’allestimento: una macchina rossa in panne sulla sabbia del deserto, avvenimento realmente accaduto, a causa del caldo, l’auto si bloccava ripartendo solo con dell’acqua in grado di raffreddare il radiatore. Intorno all’auto ha collocato le fotografie scattate dal padre e i souvenir collezionati durante il viaggio. Due giovani occhi che attraversando una parte di mondo percepiscono innocentemente ogni suo cambiamento: i colori, gli odori, le abitudini, tutto passa meticolosamente e ingenuamente sotto uno sguardo attento, segnando quel ragazzino inconsapevole che quelle strade non gli si apriranno mai più. Sarà l’anno della rivoluzione Khomeinista, il dittatore chiuderà le frontiere per sempre, vie, da secoli percorse da mercanti, viaggiatori, non saranno mai più accessibili liberamente.

Ed è attraverso il suo essere, la sua identità, che viviamo il cambiamento della collettività a cui apparteniamo, dalle sue radici, alle profonde trasformazioni storiografiche ed ideologiche, ognuna consequenziale e legata all’altra. Quest’opera è un viaggio storico in un momento in cui il mondo vive una totale trasformazione sociopolitica e antropologica, oltre alla rivoluzione di Khomeini il ’78 è l’anno in cui il moderno diviene postmoderno, inizia il crollo delle frontiere, aprendo lentamente quello che sarà l’avvento della rete, che oggi ha reso la nostra comunità più isolata di prima, ed il ecco il paradosso, Ultimo viaggio è un racconto sul presente, sull’attualità, sulla nostra solitudine in un mondo ipocrita legato all’apparente libertà del commercio.

Come testimone del suo tempo Vitone affronta con Imperium l’idea tout court di autorità assoluta. In questa stanza vuota, l’artista celebra la rappresentazione del potere, che è tale quando non si annuncia, non si vede ma letteralmente si sente. L’idea riportata qui si distanzia dall’idea di impero in senso fisico per riconfermarne uno più astratto. Vitone lavora su tre concetti topici e invisibili, essi sono il tempo, lo spazio, la percezione, a loro volta interpretati da oggetti come la polvere e l’odore. Ed è con quest’opera che approfondiamo il lavoro dell’artista partendo da Räume – un lavoro presentato in Germania – a cui si è ispirato per Stanze l’ opera site specific presente al Pac. In Räume, si sviluppa la poetica dell’artista legata al concetto di polvere, percepita come qualcosa di cui non ci liberiamo mai, essa è parte della nostra esistenza, è il pigmento contrario alla pittura, ovvero l’anti-pigmento, la polvere è sempre stata una minaccia per il quadro in quanto considerata persistente ed è lo scopo dell’artista trasformarla in pigmento, mischiata con acqua e colla vinilica Vitone riesce a dare voce al proprio soggetto, ed ecco i cinque monocromi su grigio, ricontestualizzati e pensati per questa mostra in Stanze, Vitone utilizza così come aveva fatto in Räume lo stesso principio creando un acquarello realizzato a partire dalle polveri trovate negli ambienti circostanti.

La variante invisibile della sua riflessione sul monocromo incentrato sul concetto di anti-pigmento viene messa in risalto in Per L’Eternità, l’opera presentata alla Biennale di Venezia del 2013 in collaborazione con la profumiera Maria Candida Gentile, rappresentante una gigantesca scultura acromatica.

Qui, Vitone descrive l’inciampo epocale della parabola della società modernista con una delle sue più grandi invenzioni, quale l’eternit, nata nel 1901 nell’insorgere di un cambiamento positivo, ma l’eternit si rivelerà mortale. Metafora di una realtà che all’apice del suo essere riesce ad autodistruggersi. L’artista impregna l’aria del Padiglione Italia di un odore artificiale stucchevole e naturale, un monumento basato sempre sulla poetica silenziosa della polvere e dell’anti-pigmento, rappresentante un evento ovattato tragico ed evocativo, che come l’eternit si annida e si insinua in ogni persona, così si vorrebbe annidare nelle coscienze di coloro che l’hanno provocato, senza escludere le nostre, in qualità di testimoni di realtà rimaste invariate nel tempo. Nasce qui il contrappasso tra il silenzio, della polvere dell’odore che si diffonde meschinamente in ogni dove, perfino nelle coscienze e il silenzio ingombrante del tempo, della memoria archeologica che si percepisce in tutto il suo essere lapidario.

Insieme all’opera Wide city l’istallazione al Museo del ‘900 che include 180 fotografie e il modellino della Torre Velasca architettura simbolo della città, ritroviamo la mappatura culturale della città degli anni novanta, l’opera focalizza la sua attenzione su tematiche come le periferie, il rapporta tra città e stranieri, il suo confine. L’idea era quella di realizzare un’opera totale, in cui tutti gli elementi che ci circondano possono essere coinvolti all’interno del progetto. Questo progetto fotografa anche un momento della città, in cui era evidente il dislivello culturale e sociale tra una Milano da bere sempre in crescita e in fermento e quella emarginata, povera rilegata nelle periferie. Quest’opera è il riassunto della poetica di Luca Vitone un artista che delinea sulla mappa il filo conduttore tra arte società politica ed etica, non potendo quindi chiamarsi fuori da un discorso che naturalmente diviene personale.

Leda Lunghi

 

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