Nasciamo in un determinato luogo per pura casualità, non certo per diritto, è forse questo senso di destino di casualità e di indefinito uno dei temi che emerge ne La Terra Inquieta, mostra ideata e curata da Massimiliano Gioni, promossa da La Fondazione Nicola Trussardi e La Fondazione Triennale di Milano. Esposti a La Triennale di Milano (28 aprile -20 agosto 2017) più di sessantacinque artisti la maggior parte con doppio passaporto e con una doppia visione di un mondo che si sta sviluppando e trasformando attraverso gli spostamenti globali; essi pongono l’accento su questo cambiamento legato alla migrazione e ai traumi che ne comportano; gli artisti raccontano le storie dei viaggi di rifugiati, di nomadi, di apolidi , narrazioni spesso vissute in prima persona altre volte da diversi punti di vista, le loro immagini parlano di diritti, umanità, civiltà che si trasformano, culture che dialogano.
La Terra inquieta esplora geografie reali e immaginarie, attraverso diversi linguaggi artistici, essa sviluppa come altro tema centrale il diritto all’immagine; gli artisti esposti riflettono con le loro opere su come si possano raccontare eventi di questa vastità emotiva, senza cadere nella retorica, nel naif, nella spettacolarizzazione, l’artista che vi partecipa si pone sullo stesso piano dello spettatore, instaura un dialogo, lo coinvolge. Le opere sono narrate in prima persona, sopraggiungono anche la memoria e il ricordo personale, spesso sono inseriti elementi di finzione utilizzati come effetti estranianti, mezzi di cui l’artista si avvale per richiamare l’attenzione del fruitore. Yto Barrada, Mounira Al Solh, Rokni Haerizadeh e Phil Collins esaltano la volontà di un’immagine portatrice del diritto dell’esistenza, della rappresentazione e di dignità umana, negatrice per altro, dell’estetizzazione della miseria, del grottesco; più vicini alla rappresentazione di tematiche politiche e coinvolti con partecipazione collettiva sono personalità come Pawel Althamer, Andrea Bowers, Tania Bruguera, Paulo Nazareth e Liu Xiaodong.
Questo periodo storico è l’emblema dell’incertezza, tutto viene messo in discussione, anche il senso dell’immagine, che non è più in grado di rappresentarsi, essa cerca la sua verità, la sua etica, invoca risposte a domande a cui nessuno può rispondere, divenendo quindi precaria, instabile, portatrice di quello che non c’è, di ciò che è finito, labile, morente. Parliamo quindi di un’immagine migrante e incerta, con le opere di artisti che rappresentano le migrazioni, gli spostamenti quali El Anatsui, Alighiero Boetti, Hassan Sharif e Mona Hatoum e quelli legati a concetti di vestigia, con lavori che rammentano il memoriale, il monumento funebre. Tra questi Adel Abdessemen, Kader Attia, Meschac Gaba, Thomas Schütte, Andra Ursuta e Dahn Võ .
L’artista in questa mostra desidera restituire o donare dignità a chi l’ha perduta e lo fa affidandosi a queste immagini semplici, modeste, dirette, prive di un’estetica pretenziosa, con l’immancabile fascino che può avere solo la verità della storia, esse delegano all’arte, tornando a responsabilizzarla, il compito, di veicolare il loro messaggio attraverso di essa. L’arte torna ad essere un terreno dove si concentrano racconti, nascono punti di vista, le opere possiedono letture allegoriche e metaforiche della realtà e sono le opere di artisti come John Akomfrah, Yto Barrada, Isaac Julien, Yasmine Kabir, Steve Mc Queen capaci di trasmettere un linguaggio lirico di reportage, documentario sentimentale, come testimonianza immediata.
La Terra Inquieta s’ispira all’omonimo libro di poesie di Ėdouard Glissant che ha come protagonista il mare, recita il poeta: “Vedo questa nazione immaginaria, diventata tale a causa della sofferenza (…). Sulla sabbia, abbagliante dal sale, le genti camminano nella tempesta.”
Leda Lunghi
Comments are closed.