Santiago Sierra invade il Pac di opere in bianco e nero, è così che l’artista spagnolo concepisce la nostra realtà capitalista, non ci sono vie di mezzo solo estremi. Simboliche, politiche, intense, dirette, le sue sono fotografie che colpiscono violentemente lo sguardo, la mente, la coscienza, anche se non hanno la presunzione di essere provocatorie e di dare risposte, ma bensì l’elevata capacità intellettuale di sollevare domande e riflessioni.
Mea Culpa è il titolo dell’antologica che il Pac dedica a Santiago Sierra (Madrid, 1966 ) una mostra curata da Lutz Henke e Diego Sileo, in questa mostra, che già dal titolo vuole provare a porsi come uno strumento di lettura interrogandosi sulla società contemporanea, sono presenti opere di trent’anni di lavoro. L’intera parete della prima sala è occupata dalla gigantografia di un ghigno appartenente ad uno dei rom del campo di Ponticelli raso al suolo. Mostrando solo le bocche l’artista priva le persone di un’identità, un’identità che non solo è già persa ma che attraverso quest’immagine rievoca il concetto di morte in un campo bruciato dalla stessa società.
La mostra, divisa per aree tematiche si permea di concetti di ingiustizia dettati appunto dal capitalismo e dalle forme che ne derivano. L’artista è noto per le sue performance provocatorie e ambigue in cui rivela con un linguaggio impassibile e crudo le verità legate al potere totalitario e in esse cerca di coinvolgere quel genere di persone rifiutate dalla collettività. File rouge della sua poetica è quel concetto minimale e concettuale di linea sottile, che unisce le sfaccettature della realtà tetra del nostro tempo, è per questo che la tatua sulle schiene di prostitute eroinomani a Salamanca in cambio di una dose di droga e all’Avana su quelle di alcuni ragazzi pagati trenta dollari a testa.
Seguono opere brutali, realiste che raccontano la realtà dell’immigrazione, della clandestinità come Sottomissione ( Submission ), scritta realizzata in una zona a pochi metri del confine con gli Usa, racconta il disagio la povertà la criminalità delle zone di confine; in 3000 Buchi ciascuno di 180 x 50 x50cm farà scavare tremila buche da lavoratori di origine africana ( in parte minori ) coordinati da un caposquadra spagnolo, pagandoli per otto ore di lavoro cinquantaquattro Euro, il salario minimo stabilito dall’amministrazione spagnola; ne nasce un immenso reticolato, un cimitero dei diritti. Santiago Sierra con questo lavoro non solo pone l’accento sullo sfruttamento della società nei confronti delle classi più umili, ma anche sulle diseguaglianze sociali. La denuncia dello sfruttamento lavorativo è netto e brutale in Donna incappucciata e seduta con il viso rivolto verso il muro, un’opera con un forte significato iconico e simbolico. La performance si svolse il primo maggio del 2003, quando Sierra viene chiamato a rappresentare la Spagna alla Biennale di Venezia. La donna porta un capirote nero in testa, e siede per un’ora con il volto verso il muro, questa posizione di punizione, umiliazione, rimanda ai tempi dell’inquisizione, che Goya riporta in alcune sue opere raffiguranti le torture di quei tempi con l’iconografia di questo copricapo. Forma di 600x 57x 52 cm costruita per essere sostenuta perpendicolarmente è la rappresentazione del corpo nell’iconografia cristiana, la descrizione gelida e sterile della materialità della religione. Un’opera distaccata e minimale in cui operai immigrati percepiscono un compenso per reggere un parallelepipedo di legno, ancorato alla parete di una chiesa sconsacrata di Berlino; l’opera è la rievocazione della crocifissione, quale immagine della situazione economica attuale, dove il loro corpo è divenuto una merce qualunque.
Nell’ultima stanza risalta imponente l’opera No proiettato sopra il Papa (Benedetto XVI ): un progetto in collaborazione con l’artista tedesco Julius von Bismarck, con questo lavoro Sierra denuncia quello che secondo lui è il più grande mercato al mondo, ossia la chiesa cattolica.
La scritta Kapitalism, nella parte inferiore del Pac è una parola composta da dieci performance (un lavoro di due anni ) che nasce qui per la prima volta e qui si autodistrugge; in quanto ogni lettera è composta da un prodotto primario o da un materiale significativo dell’economia del luogo. Ai lati della scritta ha posto le pietre di Gerusalemme e l’acqua del Mar Morto come emblema di commercio della spiritualità e devastazione del territorio.
Tutto il piano superiore è occupato da un’altra performance, una sequenza di fotografie di veterani di spalle a grandezza naturale, in posizione penitente, dal 2011 Sierra inizia questo lavoro come critica all’egemonia degli Stati Uniti che cercano di imporre una politica di imperialismo con la violenza, ne consegue che in ogni museo o luogo istituzionale dove espone pone un veterano faccia al muro e martedì sera all’inaugurazione un militare italiano, che ha combattuto in ex-Jugoslavia è stato recluso verso il muro per due ore.
Seguono poi opere iconografiche appartenenti alla sua carriera come il No Global Tour, dove il No, che gira per tutto l’emisfero riunisce ogni singolo soggetto sotto questa dichiarazione di rifiuto e opposizione. Bandiera Nera, simbolo di anarchia, libertà e resistenza, essa è piantata ai due poli. Sepoltura di dieci operai: a Livorno dove paga dieci lavoratori di origine africana per farsi seppellire sotto la sabbia (ne rimane fuori solo la testa ), gli uomini posizionati di spalle in un non luogo perdono la loro identità, ne risulta il peso, il dolore, una vita dura con immense difficoltà soprattutto per gli immigrati. Il Grafito più grande del mondo, dove la scritta S.O.S incisa nelle sabbie dell’Algeria è la metafora di un’enorme cicatrice mai rimarginata in quanto apre la ferita di quelle persone allontanate da decenni dalla loro terra d’origine.
Santiago Sierra ci racconta un’arte politica, cruda, minimale, smaschera una società ingiusta, mette in evidenza le strutture del potere, i divari economici, le differenze sociali. Egli rende l’arte una condivisione di idee collettive e ci porta a riflettere su di essa e su quello che sta accadendo nel nostro tempo.
Leda Lunghi
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