Minus.log collettivo composto da Manuela Cappucci e Giustino Di Gregorio approda a Milano per la prima volta in Galleria Renata Bianconi, con la mostra Untiteled ( line ) a cura di Martina Lolli, ho voluto conoscerli. Duo pienamente poliedrico, la loro è una leggiadra danza artistica che fluttua dal suono, alla pittura passando per la musica. Concatenando questi elemeti i Minus.log, legati da sempre all’imprevedibilità del caso, concentrano la loro poetica sulla pausa e sul silenzio, su un tempo che si ferma per dare spazio all’errore, il quale vieni vissuto come una rivelazione. Onirici ed armoniosi riescono a fondere l’eleganza e la varietà dei sentimenti, divenendo poetici malinconici e leggiadri , concedendo al fruitore la possibiltà di vivere la loro arte e farla propria.
Com’è nato Minus.log?
Ci siamo conosciuti circa sei anni fa iniziando a lavorare in team per alcune installazioni audiovisive e, nel corso del progetto, ci siamo resi conto di essere sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Era tutto semplice, come dire, si parlava la stessa lingua senza bisogno di spiegazioni e senza sovrastrutture. Questo liberava una bella energia creativa, forse perché non incontrava troppi ostacoli, così anche la nascita di Minus.log, circa tre anni e mezzo fa, è stata qualcosa di naturale, l’evoluzione di questa collaborazione.
Quali sono le vostre radici artistiche e cosa vi ha spinto ad unire le vostre poetiche?
Visto che si parla di radici, ci vene spontaneo rispondere: underground. Per entrambi il percorso artistico è nato ed è cresciuto lontano dai circuiti ufficiali delle Accademie, con tutte le difficoltà che questo comporta ma anche con una grande libertà di esplorare mondi sotterranei spesso molto fertili. Giustino nasce come musicista, o meglio, compositore, come è stato definito da Zorn che ha voluto pubblicare un suo album per la Tzadik, ma si è da sempre dedicato anche al video. Manuela inizia il suo percorso artistico con la pittura e si interessa presto anche ad altre forme espressive. Quello che ci ha unito è stato il riconoscere nell’altro una possibilità di ampliamento della propria ricerca. Oggi i lavori nascono da questa contaminazione di pensiero e mezzi espressivi, da un dialogo costante tra di noi e con le opere che prendono forma.
La vostra è un’arte tout court, un’unione di sound art, pittura e installazione video. Voi Come la definireste, se esiste un modo per definirla?
In realtà non abbiamo pensato ad una definizione, sappiamo solo che nasce dal fatto che abbiamo la possibilità di declinare un pensiero estetico in diversi modi, con diversi mezzi che hanno delle caratteristiche comunicative proprie. Ad esempio il video cattura, parla più facilmente alle nuove generazioni, ti prende per mano e ti accompagna nel viaggio, la pittura invece va esplorata, non ti dà nessun tempo: è il tuo occhio che sceglie il particolare sul quale soffermarsi. Ci affascina la possibilità di comunicare in diversi modi lo stesso pensiero. Ecco, mentre scriviamo ci sta venendo in mente che potrebbe essere definita “ambient”, proprio come il genere musicale. Alla fine, quello che creiamo è una grande installazione che non occupa uno spazio ma cerca di interagire con un luogo in modo armonico.
Seguite una poetica di fondo nelle vostre opere?
Più che una poetica seguiamo un atteggiamento mentale: siamo molto aperti a quello che accade, alle parole dell’altro, alle forme che emergono. Cerchiamo quello che per noi suggerisce profondità, eleganza, leggerezza. Quando emerge qualcosa che ci piace ci tuffiamo nel lavoro. È legato tutto alla scoperta e c’è anche una buona dose di casualità ma è proprio il fatto che non controlliamo perfettamente il processo a rendercelo affascinante.
Qual è la vostra concezione di tempo?
Il tempo è misterioso e hai solo l’illusione di poterlo controllare. Ci piacciono gli “errori” nella percezione del tempo, ci piace esplorare il tempo soggettivo: la dilatazione, la contrazione, lo sfasamento spazio- temporale, il loop, cose che ci fanno intuire quanto siamo piccoli. Attraverso l’errore nascono delle belle intuizioni.
Che importanza ha per voi il silenzio?
Il silenzio, il bianco, permettono di percepire ogni minimo suono, ogni piccola sfumatura. Il silenzio però è soprattutto uno spazio mentale che puoi ritrovare anche nel traffico di Milano o mentre stai lavorando. È una possibilità sempre presente. Non vogliamo creare un mondo ideale nel quale passare un po’ di tempo libero, quello che ci rende davvero felici è quando qualcuno porta con sé questo silenzio e lo fa proprio, almeno per un po’.
Che significato hanno per voi l’errore, l’attesa e la ripetizione?
Sono elementi fondamentali della nostra ricerca, proprio perché, come dicevamo, possono aprire nuove prospettive. Ci fanno scoprire cose nuove: tanti lavori sono nati da un errore, da qualcosa di imprevisto, da un tentativo fallito. L’attesa è affascinante perché mentre si aspetta qualcosa, quindi si è proiettati nel futuro, ci si può perdere nel presente. Le installazioni del progetto Cure lavorano su questo, su un’attesa che diventa esplorazione del presente. La ripetizione ha infinite sfumature: può essere inquietante come un sogno dal quale non riesci ad uscire oppure permette di entrare in profondità, come un mantra, o ancora ti illude che sia possibile tornare a vivere la stessa situazione…
Avete appena inaugurato Untiteled ( line ) una personale a cura di Martina Lolli, in Galleria Renata Bianconi a Milano, me ne volete parlare?
La Galleria Bianconi sta ospitando una selezione dei nostri lavori che va dal 2015 all’anno in corso; si tratta di installazioni audiovisive e tele. Grazie alla curatrice Martina Lolli siamo entrati in contatto con Renata Bianconi ed è stato un incontro davvero piacevole. Renata ci ha fatto visita in Abruzzo, è entrata nel nostro mondo e si è fatta coinvolgere ospitandoci nel suo, uno spazio accogliente che lavora perfettamente con le opere creando proprio l’ambiente che desideravamo. È nata una bella collaborazione e l’esperienza di esporre per la prima volta a Milano incontrando dei visitatori così attenti e sensibili ci ha lasciato una sensazione che dimenticheremo difficilmente: abbiamo percepito davvero un bel coinvolgimento.
C’è qualche artista da cui traete particolare inspirazione?
Ce ne sono tanti e tanto diversi tra loro. Alcuni in ordine sparso: Bruno Munari, Miles Davis, Paul Klee, Brian Eno. Di loro amiamo l’immediatezza, la semplicità, quell’assenza di virtuosismo che lascia emergere una tecnica al servizio della comunicazione.
Progetti futuri?
Stiamo continuando a lavorare per Faraway so close, un progetto legato all’idea di forme e luoghi familiari che emergono o forse riemergono da lontano. E ci ronzano in testa alcuni altri pensieri che, prima o poi, prenderanno forma.
Leda Lunghi
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